Un nuovo attacco al mondo dei social networks da parte del mondo dell'imprenditoria.
Alcuni analisti del lavoro hanno recentemente coniato un poco lusinghero termine che risponde al nome di "Assenteismo virtuale"... ma non si tratta di dipendenti che marinano il lavoro per restare a casa a giocare col Virtual Boy!
La critica degli anni 80
In cosa consiste questo fenomeno? Chiunque ricorderà la satira dei film di Fantozzi negli anni 80 sull'assenteismo in ufficio, dove alcuni dipendenti, invece di recarsi al lavoro facevano le attività più disparate, oppure nell'ufficio stesso svolgevano attività collaterali, come il bagarinaggio di biglietti da stadio, il panettiere o il finto cieco... La critica era certo esagerata, ma derivava da alcune situazioni reali che Paolo Villaggio aveva osservato ed esasperato nelle sue sceneggiature. Cambiano i tempi, si evolvono le tecnologie ma, a quanto pare, cambia poco il costume...
L'età moderna
Oramai che c'è il web, con il corpo siamo tutti in ufficio, ma la testa può facilmente "evadere" e vagabondare altrove... guardare siti riguardanti località esotiche fa immaginare già le vacanze, anche se queste nella realtà sono ben lontane.
Il cosiddetto Assenteismo Virtuale è generato, sempre secondo gli analisti del fenomeno, principalmente dai social network, come MySpace, Twitter o Facebook, anche se è, ovviamente, estensibile a tutto il web. In particolare le aziende lamentano "ipotetiche" perdite produttive dovute ai voli pindarici del cervello dei propri dipendenti, fisicamente immobili sulla scrivania ma con la mente sulle spiagge dei tropici...
Molti ricorderanno senza dubbio Google Pac-Man, browser game diffuso in occasione del trentennale del titolo Namco, anch'esso attaccato dagli analisti del lavoro per un presunto monte ore "sprecato" a giocare...
Gravissimo sarebbe inoltre il caso in cui un dipendente incauto avesse la sfortuna di contrarre un virus sui PC aziendali o ministeriali dell'ufficio, magari compromettendo svariati gigabyte di dati lavorati!
L'automoderazione
A difesa dei lavoratori va detto che una piccola pausa, seppur virtuale, dopo ore di lavoro fa senza dubbio bene al cervello ed aumenta anzi la produttività. Ovviamente le pause devono essere fatte con moderazione e commisurate al tipo di lavoro svolto, in modo da non pregiudicare o rallentare troppo lo stesso. In buona sostanza venti minuti di assenteismo virtuale dopo la pausa pranzo non fanno male a nessuno ma sei ore su otto dedicate alla navigazione smodata sono senza dubbio controproducenti.
L'altra faccia della medaglia: l'Info Sharing
Oltre alle presunte perdite di produttività le aziende lamentano anche una possibile fuga di informazioni sensibili che potrebbero essere messe incautamente sui social networks. Se ad esempio si lavorasse in un ufficio brevetti e si scrivesse su Twitter "oggi è passato uno con l'idea per l'auto ad acqua che si basa sul principio di estrazione degli ioni dall'atomo H2O" (teoria ovviamente inventata), e qualcuno rubasse l'idea, il danno sarebbe decisamente grave.
Allo stesso modo anche eventuali commenti contro i propri superiori espressi sul web potrebbero essere captati dagli stessi e generare situazioni spiacevoli...peggio ancora taggare un collega "ufficialmente malato" mentre se la spassa per le vie del centro o in un centro termale, che genererebbe seri problemi.
I provvedimenti aziendali in questi casi estremi potrebbero, sempre secondo gli analisti del lavoro portare addirittura al licenziamento del dipendente, legalmente valido poichè rientrerebbe nella giurisprudenza espressa dai giudici della cassazione in casistiche simili. Il reato che si configurerebbe sarebbe quello di infedeltà all'azienda e mancata collaborazione con la stessa.
Spesso alcuni datori di lavoro, proprio per evitare le spiacevoli conseguenze dall'uso incauto del web, limitano l'accesso allo stesso parzialmente o totalmente. Ovviamente nei casi in cui il web non serva come strumento di lavoro nell'ufficio stesso.
E se Facebook lo usasse l'azienda?
Spesso anche le aziende usano i social network ed in generale il web per raccogliere informazioni sul lavoratore, sia in sede d'assunzione sia durante lo svolgimento del lavoro stesso. La legge però proibisce l'uso di tali strumenti informatici poichè, secondo lo statuto dei lavoratori (articolo 8), la ricerca di informazioni extra lavorative sul candidato o dipendente è illegale e prevede anche alcune sanzioni penali.
La discussione è decisamente interessante, fino a che punto la libertà personale dei dipendenti si può estendere prima di poter causare danni all'azienda? E lo stesso si può dire per l'azienda, quanto questa può esercitare il suo potere censorio senza scadere nella esagerata repressione?
Alcuni analisti del lavoro hanno recentemente coniato un poco lusinghero termine che risponde al nome di "Assenteismo virtuale"... ma non si tratta di dipendenti che marinano il lavoro per restare a casa a giocare col Virtual Boy!
La critica degli anni 80
In cosa consiste questo fenomeno? Chiunque ricorderà la satira dei film di Fantozzi negli anni 80 sull'assenteismo in ufficio, dove alcuni dipendenti, invece di recarsi al lavoro facevano le attività più disparate, oppure nell'ufficio stesso svolgevano attività collaterali, come il bagarinaggio di biglietti da stadio, il panettiere o il finto cieco... La critica era certo esagerata, ma derivava da alcune situazioni reali che Paolo Villaggio aveva osservato ed esasperato nelle sue sceneggiature. Cambiano i tempi, si evolvono le tecnologie ma, a quanto pare, cambia poco il costume...
L'età moderna
Oramai che c'è il web, con il corpo siamo tutti in ufficio, ma la testa può facilmente "evadere" e vagabondare altrove... guardare siti riguardanti località esotiche fa immaginare già le vacanze, anche se queste nella realtà sono ben lontane.
Il cosiddetto Assenteismo Virtuale è generato, sempre secondo gli analisti del fenomeno, principalmente dai social network, come MySpace, Twitter o Facebook, anche se è, ovviamente, estensibile a tutto il web. In particolare le aziende lamentano "ipotetiche" perdite produttive dovute ai voli pindarici del cervello dei propri dipendenti, fisicamente immobili sulla scrivania ma con la mente sulle spiagge dei tropici...
Molti ricorderanno senza dubbio Google Pac-Man, browser game diffuso in occasione del trentennale del titolo Namco, anch'esso attaccato dagli analisti del lavoro per un presunto monte ore "sprecato" a giocare...
Gravissimo sarebbe inoltre il caso in cui un dipendente incauto avesse la sfortuna di contrarre un virus sui PC aziendali o ministeriali dell'ufficio, magari compromettendo svariati gigabyte di dati lavorati!
L'automoderazione
A difesa dei lavoratori va detto che una piccola pausa, seppur virtuale, dopo ore di lavoro fa senza dubbio bene al cervello ed aumenta anzi la produttività. Ovviamente le pause devono essere fatte con moderazione e commisurate al tipo di lavoro svolto, in modo da non pregiudicare o rallentare troppo lo stesso. In buona sostanza venti minuti di assenteismo virtuale dopo la pausa pranzo non fanno male a nessuno ma sei ore su otto dedicate alla navigazione smodata sono senza dubbio controproducenti.
L'altra faccia della medaglia: l'Info Sharing
Oltre alle presunte perdite di produttività le aziende lamentano anche una possibile fuga di informazioni sensibili che potrebbero essere messe incautamente sui social networks. Se ad esempio si lavorasse in un ufficio brevetti e si scrivesse su Twitter "oggi è passato uno con l'idea per l'auto ad acqua che si basa sul principio di estrazione degli ioni dall'atomo H2O" (teoria ovviamente inventata), e qualcuno rubasse l'idea, il danno sarebbe decisamente grave.
Allo stesso modo anche eventuali commenti contro i propri superiori espressi sul web potrebbero essere captati dagli stessi e generare situazioni spiacevoli...peggio ancora taggare un collega "ufficialmente malato" mentre se la spassa per le vie del centro o in un centro termale, che genererebbe seri problemi.
I provvedimenti aziendali in questi casi estremi potrebbero, sempre secondo gli analisti del lavoro portare addirittura al licenziamento del dipendente, legalmente valido poichè rientrerebbe nella giurisprudenza espressa dai giudici della cassazione in casistiche simili. Il reato che si configurerebbe sarebbe quello di infedeltà all'azienda e mancata collaborazione con la stessa.
Spesso alcuni datori di lavoro, proprio per evitare le spiacevoli conseguenze dall'uso incauto del web, limitano l'accesso allo stesso parzialmente o totalmente. Ovviamente nei casi in cui il web non serva come strumento di lavoro nell'ufficio stesso.
E se Facebook lo usasse l'azienda?
Spesso anche le aziende usano i social network ed in generale il web per raccogliere informazioni sul lavoratore, sia in sede d'assunzione sia durante lo svolgimento del lavoro stesso. La legge però proibisce l'uso di tali strumenti informatici poichè, secondo lo statuto dei lavoratori (articolo 8), la ricerca di informazioni extra lavorative sul candidato o dipendente è illegale e prevede anche alcune sanzioni penali.
La discussione è decisamente interessante, fino a che punto la libertà personale dei dipendenti si può estendere prima di poter causare danni all'azienda? E lo stesso si può dire per l'azienda, quanto questa può esercitare il suo potere censorio senza scadere nella esagerata repressione?
Nessun commento:
Posta un commento